La mia passione

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martedì 13 maggio 2014

Visitando Cantine: Maison Pommery


Oggi, vi voglio raccontare della Maison Pommery attualmente di proprietà del Gruppo Vranken con il nome di Vranken Pommery Monopole che rappresenta la più grande azienda vitivinicola in Europa con marchi presenti e distribuiti in 147 paesi nel mondo. Volevo raccontarvi di Pommery esclusivamente con delle fotografie da me realizzate perché speravo che anche voi provaste le mie emozioni ma poi avrei perso il piacere di raccontare le mie sensazioni e le mie esperienze.

Il mio viaggio verso la Maison inizia in auto da Parigi. Dopo circa due ore di cammino arrivo a Reims dove avrò il piacere di soggiornavi per diverso tempo. Reims è Champagne, qui oltre a Pommery troviamo Mumm, Taittinger, Veuve Cliquot, etc. Niente, tuttavia, a mio parere, è paragonabile a Pommery ed è qui che fermerò la mia base estiva. Reims è una città fantastica che vive di Champagne, vive delle Maison e della parola Champagne legata alle persone che vi risiedono.

Arrivato nei pressi della Maison la visione è sbalorditiva. Una struttura imponente simile ad un grande castello con un giardino curato ricco di opere d’arte, opere che ritroverò anche nella cantina sotterranea. Le cantine del Domaine, situate diversi metri sotto terra, sono state ricavate trasformando 120 cave di gesso di origine gallo-romana e sono collegate da 18 km di gallerie destinate ad ospitare venticinque milioni di bottiglie in affinamento. Per realizzare questo ambizioso progetto sono stati necessari dieci anni di lavori, tra il 1868 e il 1878. 
Pommery è sinonimo di Champagne ma anche di arte. Infatti, Madame Pommery era attivamente coinvolta nella riorganizzazione della Reims Philharmonic Society, sosteneva Les Amis des Arts (amici dell’arte) comprando i loro migliori dipinti e nel 1882 commissiono a Navlet la serie di incredibili e monumentali bassorilievi che ornano le sue cantine. La passione che spingeva questa continua ricerca la porto a mettere assieme una notevole collezione di maioliche provenienti dai centri più famosi: Rouen, Moustier, Strasburgo, Nevers, Luneville e perfino centri come Sinceny, Sevres e Delft. Madame Pommery lascio questa collezione presso il Museo di Reims. Oggi, Pommery continua a commissionare opere ad artisti moderni di valore ma posizionandosi in un contesto tutto suo. Con la creazione di Experiences Pommery nel 2003, Pommery diviene un produttore di arte, fornendo alla scena internazionale una propria visione underground. Inoltre, è di Madame Pommery l’idea di mettere a “servizio” dell’azienda l’architettura neo-gotica elisabettiana, uno stile architettonico ritenuto a quel tempo troppo prestigioso per cantine, sale di imbottigliamento e magazzini. Realizzato nel 1878 dopo dieci anni di lavori, ad oltre 50 anni dalla fondazione della Maison, diventa centro produttivo e di accoglienza del marchio Pommery. Si estende oggi su cinquanta ettari tra edifici in stile elisabettiano, di cui venticinque ettari coltivati a vigneti denominati Clos de Pompadour e Moulin de la Hausse.







Le Vigne

Trecento ettari suddivisi tra sette villaggi classificati al 100% compongono, attualmente, le vigne della Maison Pommery. La gran parte dei vigneti sono piantati sui fianchi delle colline con una perfetta insolazione e costante areazione e tutti sono caratterizzati da terreno calcareo con un formidabile strato di gesso nel sottosuolo caratteristiche che garantiscono un ottimo serbatoio di calore e da un clima settentrionale, che alterna mitezza atlantica e rigore continentale, caratteristiche che creano tutta la specificità dei vigneti della Maison.

Sui versanti della Montagne de Reims troviamo Mailly, Verzenay, Bouzy e Ay per il Pinot Noir e Sillery per lo Chardonnay ed il Pinot Noir mentre sulla Cote des Blancs abbiamo Cramant e Avize per lo Chardonnay. Il vigneto riservato a Cuvée Louise nasce esclusivamente dai tre più importanti Grand Cru della regione della Champagne quali Avize e Cramant per gli Chardonnay e Aÿ per il Pinot Noir. Le parcelle del vigneto Cuvée Louise sono selezionate sia per la loro posizione nel cuore di questi terreni sia per i risultati ottenuti nel corso degli anni e ancora per la ricchezza aromatica delle loro uve. Il vigneto è oggetto di attente cure per tutto l’anno attraverso potatura autunnale equilibrata affinché la vite germogli correttamente, legatura di primavera, spollatura, disposizione a spalliera e spampinatura d’estate per favorire il “polmone” della vigna. Giunte a maturità, queste uve presentano un tenore di zucchero sensibilmente più alto rispetto agli altri appezzamenti degli stessi Cru.

L’invenzione del Brut

Monsieur Pommery, di salute cagionevole, dopo aver fatto fortuna nel mercato della lana, decide nel 1856, visto che il figlio Louis è ormai grande, di ritirarsi dagli affari per vivere una vita più tranquilla. Tuttavia, dopo diciassette anni dopo la prima gravidanza, Madame Pommery, aspetta un bambino. Questa gravidanza miracolosa, all’età di 38 anni, cambierà per sempre il corso della loro vita; infatti, Monsieur Pommery, per garantire il futuro della figlia, apre un’attività dedita alla commercializzazione dei vini di Champagne e quando, il 18 febbraio 1858, Monsieur Pommery si spegne, Madame Pommery guarda Louise che non ha neppure un anno e raccoglie le proprie forze per dare inizio ad una delle più belle storie della Champagne.

Così, nel 1874 Madame Pommery che ha preso saldamente in mano le redini dell’azienda percepisce che i gusti stanno cambiando e chiede a Victor Lambert, Chef de Cave della Maison che ha sostituito Olivier Damas, di ideare uno champagne secco, leggero ed elegante. Questa audace volontà di Madame Pommery, in un’epoca in cui domina il gusto dolce, verrà coronata nello stesso anno con la creazione del primo “brut” millesimato della storia dello champagne: il Pommery Nature 1874. L’idea diventa in realtà un successo senza precedenti e ancora oggi è lo stile di riferimento per eccellenza e si ritrova negli Champagne Cuvée Louise, Pommery Millésimé Grand Cru, Brut Royal e Pommery Noir.

Oggi, lo Chef de Cave che firma gli champagnes della Maison è Thierry Gasco e a lui compete la definizione delle “cuvee”, sposando tra loro i diversi Cru. Ogni anno, cerca con cura, il profumo e il gusto che distinguono lo Champagne Pommery. Gasco gestisce anche le “Relations Vignoble” occupandosi direttamente delle valutazioni agronomiche e della qualità delle uve conferite. Questo principio selettivo e l’ingrediente che assicura la qualità della materia prima che poi si evince dalla purezza e finezza dei suoi vini.

mercoledì 30 aprile 2014

Degustazioni: Tredici DOC 2010 Vigne del Vulture


La settimana scorsa mi è stato regalato Tredici 2010 una bottiglia di vino dell’azienda agricola Vigna del Vulture di Melfi (PZ) nata dalla passione per il vino di sei ragazzi Lucani decisi a produrre bottiglie di qualità attraverso accurati processi in vigna.

L’azienda, sfruttando la zona del Vulture eccellente dal punto di vista della natura dei terreni vulcanici e ricchi di minerali, ha puntato la produzione su vino Aglianico DOC attraverso il supporto e la  guida dell’enologo toscano Umberto Trombelli. Oggi, la produzione si attesta ad un milione e mezzo di bottiglie.

Il Tredici 2010 è prodotto interamente con uve Aglianico del Vulture aventi una resa di 7 t/ha. Il vino dopo la fermentazione malolattica affina tredici mesi in barrique e sei mesi in bottiglia.

La degustazione mi ha lasciato molte perplessità. Il vino si veste di colore granato di importante consistenza. Al naso l’impatto alcolico è forte e deciso lasciando poco spazio all’analisi. Dopo diversi istanti iniziano a percepirsi sentori fruttati di ciliegia accompagnati da cuoio, pellame e tabacco ciò nonostante l’impatto alcolico e ancora prorompente tendendo ad offuscarne la percezione limpida dei sentori incontrati. Anche al gusto l’alcol prende il sopravvento così come una forte componente acida tuttavia, notiamo un tannino ottimamente integrato e distribuito. In abbinamento lo vedrei bene con uno stinco di maiale alla brace.

domenica 27 aprile 2014

Degustazioni: Milady Rosè Demi-Sec 2010 Plou & Fils


Parliamo di Plou & Fils, parliamo di Milady. In Francia, visitando la regione vinicola della Loira ho avuto una brevissima tappa da Plou & Fils produttore di vino francese dal 1508. Cinquecento anni di vita di vini e di un vigneto di famiglia tramandato da padre in figlio che oggi si sviluppa in 75 ettari.

Oggi racconterò di uno dei vini che mi hanno destato più curiosità: Milady Rosè Demi-Sec 2010 un blend di due vitigni Gamay e Cabernet.

La degustazione è stata sorprendente ed emozionante. Cerasuolo di immane lucentezza. I primi sentori che si percepiscono al naso sono fruttati e floreali come pesca, agrumi, fresie e fiori d’arancio. Dopo i primi istanti tende ad aprirsi ancora e arrivano ai nostri sensi profumi di miele ed uva passa. Al gusto è equilibrato ed emergono un'eleganza ed una finezza insuperabili come pochi vini finora degustati. Un vino bevibile in ogni momento della giornata ma che consiglierei come aperitivo accompagnandolo con biscotti al cioccolato.

sabato 29 marzo 2014

Degustazioni: Pinot Nero Umbria IGT 2008 Castello della Sala


Per la produzione del Pinot Nero si effettuano dalle due alle tre raccolte per scegliere solo i grappoli migliori che portati in cantina vengono posizionati sui nastri trasportatori dove verrà effettuata un’ulteriore cernita e successivamente inviati alla pigiadiraspatrice che diraspa e pigia in modo soffice. Il vigneto del Pinot Nero è a 400 m di altitudine e il vitigno matura perfettamente ed è sottoposto ad un processo di macerazione controllato. Al termine della fermentazione alcolica, sfruttando la gravità, il vino viene sceso direttamente in barricaia dove in parte entra in barrique nuove e in parte di secondo passaggio. La temperatura della barricaia, dove avviene la fermentazione malolattica, è di 16° C, quindi fresca.
 

Degustazioni: Pinot Nero Umbria IGT 2008 Castello della Sala

E’ prodotto a Castello della Sala dal 1988 ma la prima annata interessante è risultata quella del 1990. E’ il vino più difficile da produrre ma anche il più interessante per gli enologi. Il Pinot Nero è caratterizzato da grazia, sensibilità e dolcezza quindi, femminile nell’approccio e nella setosità ma con una spina dorsale forte, di acciaio che lo rende intenso e saporito. L’obbiettivo è realizzare un ottimo vino ma non avente lo stesso peso internazionale del Cervaro. Le condizioni presenti al Castello della Sala sono ottime per produrre un buon Pinot Nero ma non sono adatte a realizzare un vino di primissimo livello. Le vigne utilizzate per produrlo sono del 1994. Di colore rubino dai riflessi granato presenta profumi esili all’inizio che tendono ad aprirsi con il tempo con una matrice fruttata di lampone e ciliegia, di terra bagnata e di mineralità. Si avvertono accenni floreali e di erbe aromatiche. All’assaggio troviamo una bella freschezza e sapidità con un tannino delicato e un ritorno fruttato e minerale. E’ un vino immediato ma la sfida è capire se fra 4-5 anni si avvertiranno delle note evolute. Attualmente si avvertono delle ottime basi in termini di qualità del frutto e del tannino setoso tipico del vitigno.

Degustazioni: Muffato della Sala Umbria IGT 2007 Castello della Sala


Il Muffato dell’azienda Castello della Sala è un vino dolce ottenuto da uve botritizzate. La Botrytis Cinerea o “muffa nobile” è un fungo che si riproduce in climi caldi ma umidi. L’umidità alternata al calore determina le condizioni ideali di sviluppo che fanno si che le spore aderiscano alla buccia dell’uva e si nutrano dell’acqua e dell’umidità presente all’interno del frutto. Le spore, arrivano a divorare anche cinque sesti dell’acidità e un terzo dello zucchero garantendo un succo concentrato in una polpa appiccicosa e molto dolce. Tuttavia, in vigna la crescita della Botrytis non è un evento regolare e prevedibile e pertanto la vendemmia può protrarsi per diverse settimane. In Francia, a Sauternes, si parla di tries, cioè scelte e la scelta riguarda la raccolta degli acini perfetti ovvero quelli perfettamente attaccati. Quando nel 1932 la zona di Orvieto fu delimitata, la specifica di uve prodotte con uve ammuffite fu prevista nella legge di delimitazione del professore Garavini che già ottanta anni fa indicava delle zone delimitate rappresentanti le attuali DOC. La prima annata di Muffato del Castello della Sala si ebbe nel 1971 e si chiamava Castello della Sala Abboccato. Nel 1973 venne fatto assaggiare, per la prima volta, nel primo congresso dell’AIS che si tenne ad Orvieto. Successivamente, in azienda si decise di reimpostare la produzione integrando le uve dell’Orvieto con uve più adatte alla botritizzazione come Sauvignon e Semillon. Così, nel 1986, nacque il Muffato. Il vino ha nel Sauternes il suo punto di riferimento anche se è diverso in merito alla solforosa. Per la produzione dei vini dolci la fermentazione viene bloccata o con il freddo o con la solforosa o per l’alcol quando vengono raggiunti livelli tali che automaticamente arrestano l’azione dei lieviti; tuttavia, se si vuole mantenere un vino dotato di una bella freschezza si usa o il freddo o la solforosa. Grazie ad una deroga comunitaria che permette concentrazioni di solforosa molto più alte, la produzione dei Sauternes viene guidata dalla stessa che permette di bloccare la fermentazione al momento desiderato; tuttavia, la solforosa, interviene anche gustativamente perché determina la produzione di acido solforico che abbassa il pH rendendo il vino più fragrante, più conservabile e meno ossidabile. Per il Muffato le dosi di solforosa ammesse sono molto più basse e inoltre si è cercato di creare un grande vino che potesse essere bevuto a bicchiere e non centellinato. Pertanto, il fine è stato di trovare un equilibrio tra la sensazione iodata tipica di un muffato con la componente più fresca e più fruttata; equilibrio che lo rende anche più utilizzabile nelle diverse applicazioni che possono svariare dall’aperitivo al post-pranzo. Sono state introdotte piccole percentuali di due vitigni, Riesling che dona acidità e Traminer che gli dona una piccola dote profumata al fine di ottenere un vino più accessibile e pronto per essere consumato in maggiori quantità. Il Muffato deve essere consumato dopo un periodo minimo di affinamento di cinque anni altrimenti risulta troppo fresco. Le uve utilizzate devono avere una buccia spessa come il Sauvignon Blanc, il Semillon e il Grechetto. Infatti, con uve dalla buccia sottile come il Riesling si verificherebbe il problema della rottura della stessa durante l’attacco della muffa.
 

Degustazioni: Muffato della Sala Umbria IGT 2007 Castello della Sala

L’azienda Antinori ha dedicato 30 ettari di vigneto al muffato. I vigneti si trovano situati in parte a fondovalle, in parte in media collina e in parte in collina in modo tale che in funzione dell’andamento stagionale si possa sempre produrre il vino. Infatti, se la stagione è molto umida la parte di fondovalle si butta e così se è secca si esclude la parte di alta collina. Tali fattori sicuramente determinano uno spreco naturale nella produzione ma hanno permesso di produrre il vino ogni anno a partire dal 1986 con cinque varietà di vitigni quali Sauvignon Blanc, Semillon, Grechetto, Traminer e Riesling e con l’aggiunta di piccole prove di Viognier che garantisce al vino una maggiore mineralità. Lo scopo è quello di trovare ogni anno un equilibrio con varietà che di anno in anno rispondono in modo diverso alla Botritys. All’atto della degustazione è risultato troppo giovane. Il colore è giallo paglierino, di grande eleganza e avvolgenza che non è legato alle note iodate o muffate tipiche che naturalmente si avvertono ma che non sono prorompenti, con note salmastre, minerali, mielose, di fiori gialli e fruttate. Al palato è avvolgente con una spinta acida e sapida dove manca la nota amarognola tipica della tipologia di vino. Di norma, la nota amarognola dipende da due cose o da un eccesso di anidride solforosa che è amara o da un difetto legato all’acidità che risulta troppo alta.

mercoledì 26 marzo 2014

Degustazioni: La nascita di un'icona: Cervaro della Sala


La produzione del vino è legata al processo di macerazione a freddo delle bucce. Tale processo produttivo che si svolge con temperature inferiori ai 10°C è iniziato nel 1981. In quegli anni tale metodo di produzione era considerato un’avversità perché i vini bianchi dovevano essere di colore bianco carta e i vini di riferimento erano il Galestro in termini di consumi e il Gavi in termini di qualità, vini orientati alla freschezza e alla fragranza ma con poca spina dorsale, vini puliti senza intensità. La ricerca dell’intensità, in quel periodo, voleva dire vini che dopo un anno erano maderizzati con colori prima oro e poi tendenti al marrone che ne decretavano la morte gustativa e, quindi, dato che la macerazione era una pratica che aumentava il livello di sostanze ossidabili e di conseguenza rendevano il vino più facilmente invecchiabile, era considerata avversa. La macerazione garantisce maggiori intensità perché le sostanze presenti nel vino sono concentrate principalmente nella buccia. In quel momento il Cervaro rappresentò l’unico vino italiano prodotto in quel modo mentre oggi la pratica è molto diffusa. L’enologo Cotarella ed il suo staff inventarono la tramoggia e l’utilizzo, per la prima volta, dell’anidride carbonica per il raffreddamento delle uve, il tutto alla ricerca di qualcosa che cambiasse le regole del gioco. Il Cervaro ha fatto questo andando a cambiare l’immagine dei vini bianchi dell’Orvietano che erano buoni ma nella mediocrità e andando ad affermarsi in Italia e all’estero per la sua costanza in termini di qualità annuale e per il suo percorso gustativo che raramente tradisce. Un vino che ha un suo filo conduttore che in parte gli deriva dalla zona e in parte dal modello e dal processo di vinificazione. La nascita del vino avviene circa 30 anni fa quando il dott. Cotarella insieme al Marchese decisero di effettuare un viaggio in Francia e in Borgogna dove assaggiarono un vino bianco affinato 15 anni in bottiglia. L’approccio fu molto particolare in quanto in quegli anni andavano di moda i vini bianchi trasparenti, snervati e acidi. Entrambi si innamorarono dello Chardonnay e decisero di importarlo e piantarlo nella zona del Castello della Sala. Nel 1985 abbiamo la prima annata che risultò estremamente insoddisfacente tanto da portare il Marchese a decidere di smetterne la produzione. Il risultato fallimentare fu dovuto alla presenza esclusiva della fermentazione alcolica in quanto in tale periodo la fermentazione malolattica, in Italia, era pressoché impensabile. Tuttavia, il dott. Cotarella decise di continuare le sperimentazioni e fu fortunato quando nel 1986 il primo cantiniere chiuse tutte le porte della cantina storica del castello dove stava fermentando lo Chardonnay. Questo “incidente” portò all’aumento della temperatura in modo naturale facendo partire la fermentazione malolattica. Inizialmente, si pensò ad un disastro ma poi assaggiando il vino vennero individuate delle similitudini con quello di Borgogna. Da quel momento continuarono le sperimentazioni, la malolattica venne portata a compimento e si pensò all’aggiunta del vitigno Grechetto che ha un ruolo fondamentale innanzitutto perché tipico della zona e quindi ha permesso di portare il nome di Orvieto in tutto il mondo e poi per la possibilità di metterlo in blend con lo Chardonnay. Il Cervaro, infatti, è un blend di Chardonnay e Grechetto. Il vino affina in barrique nuove per massimo 6 mesi e la fermentazione malolattica viene svolta a completamento ovvero fino a quando il valore dell’acido malico è zero. I lieviti utilizzati sono Saccaromyces Cerevisiae indigeni, selezionati e originari delle zone.

 
Degustazione: Cervaro della Sala Castello della Sala Antinori IGT 2009

Prima di iniziare la degustazione dobbiamo preannunciare che il vino non deve essere paragonato ad uno Chardonnay della Borgogna in quanto il suo comportamento è tipicamente mediterraneo. Da il meglio di sé nelle annate più fresche. Il Grechetto nel blend migliora l’acidità ma in maggiori quantità tenderebbe ad involgarirlo. Il profumo è intenso di grande finezza si avvertono i fiori gialli che emergono sulla componente grassa e fruttata con una bellissima mineralità tipica del vino e del territorio il tutto abbracciato da un fondo fumè e di pietra focaia. In bocca si avvertono note di burro e nocciola,  l’acidità è importante ma si intravede una bella rotondità il tutto in un bellissimo equilibrio; tuttavia, si vede che ha bisogno di tempo necessario al fine di amalgamare l’acidità con la sapidità. Un vino giovane che per essere bevuto bene avrebbe bisogno di circa 30 anni.

domenica 16 marzo 2014

Visitando Cantine: Castello della Sala


Oggi voglio raccontarvi di una delle ultime aziende vinicole visitate Castello della Sala di proprietà dei Marchesi Antinori. Un angolo di paradiso situato in nei pressi di Orvieto in Umbria a poca distanza dal confine toscano. Il Castello della Sala attualmente produce sei etichette diverse: il Cervaro della Sala, il Muffato della Sala, il Pinot Nero, il Bramito del Cervo che rappresenta il vino di ricaduta del Cervaro prodotto con vigne più giovani, il Conte della Vipera prodotto a partire dal 1995 con la collaborazione di Piero Antinori e Patrick Dusset al fine di produrre un vino da Sauvignon Blanc e infine il San Giovanni della Sala che è un Orvieto Classico avente lo scopo di rilanciare questo vino oggi alquanto declassato; tuttavia, il costo in media triplo di quello di un Orvieto rende più difficile la commercializzazione.

 
Storia

Il Castello della Sala è una fortezza medioevale che sorge su un promontorio tufaceo. E’ stato acquistato nel 1940 da Niccolò Antinori padre dell’attuale Piero. Il castello venne costruito nel 1350 per Angelo Monaldeschi. La nobile famiglia Monaldeschi di origine longobarda, era molto numerosa ma anche molto cruenta tanto da farsi guerra gli uni con gli altri per il controllo di Orvieto. Da qui Angelo e i suoi tre fratelli presero la decisione di dividere la famiglia, di adottare ciascuno un nome di animale e di creare un clan feudale. Il fratello maggiore si chiamò Monaldeschi della Cervara, un altro del Cane, quindi dell’Aquila e Angelo che era il più cruento della Vipera. Nel 1437 Gentile, nipote di Angelo Monaldeschi della Vipera, un guerra fondiario, tenne per dieci anni la città sotto la propria tirannia.
 
Il papato che risiedeva ad Orvieto cercava di mitigarlo ma il Monaldeschi decise di costruire la grande torre medioevale per fortificare il castello posto in fondo ad una valle dove risiedeva. Sala dall’antico longobardo significa “casa di campagna” e pertanto il castello fu costruito per scopi diversi. Alla morte di Gentile Monaldeschi a seguito delle truppe del papato, per il castello inizia un periodo di pace grazie al matrimonio tra il figlio di Gentile Monaldeschi e Giovanna della Cervara che iniziò la restaurazione dello stesso. Alla morte del marito non avendo prole, Giovanna, dona il castello alla chiesa a cui rimane per 300 anni fino alla confisca da parte dello stato avvenuta con l’unita d’Italia. Quindi passa a due privati per essere acquistato nel 1940 dal marchese Niccolò Antinori ed oggi ospita le famose Cantine Conte Antinori. La famiglia Antinori è legata alla Toscana vinicola dal 1300 e volendo ampliare la gamma dei propri vini erano decisi a produrre vino bianco ma non lontano dalla Toscana e pertanto scelsero l’Umbria ed in particolare l’areale di Orvieto, il Castello della Sala.
 

Terroir

Il Castello della Sala è situato nei pressi di Orvieto dove l’Umbria confina a nord con la Toscana e a sud con il Lazio, in una valle con due laghi importanti, quello di Corbara e quello di Bolsena. I due bacini garantiscono una fitta concentrazione di umidità che si traduce in fitta nebbia fondamentale per lo sviluppo della muffa nobile. I vigneti si estendono su un suolo argilloso molto ricco di fossili del Pliocene di origine sedimentaria e vulcanica.

 
Vigneti

La tenuta si estende su 500 ettari di cui 300 a riserva di caccia e circa 160 a vigna, principalmente Chardonnay e Sauvignon Blanc con un pizzico di Pinot Bianco, Viognier, Riesling, Traminer e Grechetto. I vigneti sono posizionati ad un’altitudine compresa tra i 200 e i 400 m lungo il fiume Paglia. La vigna è coltivata interamente a cordone speronato con una densità di circa 5500 ceppi ed una resa quasi sempre al di sotto degli 80 ql per ettaro. A monte invece, sulla collina terrazzata denominata “Consola”, l’impianto di Pinot Nero di circa 7 ettari posizionato tra i 340 e i 460 metri slm.

 
 
 


Cantina

L’attuale cantina, costruita tra il 2004 e il 2006, è stata realizzata sull’idea del Cervaro il vino di punta dell’azienda. Sotto l’aspetto tecnologico è tra le più moderne se non la più moderna per la produzione di vini bianchi. Le uve che arrivano dai vigneti vengono scaricate nelle tramoggie dove per caduta finiscono al piano inferiore senza l’ausilio di pompe e dove vengono diraspate. Nel piano inferiore, le uve Chardonnay per la produzione del Cervaro e del Bramito vengono immediatamente raffreddate e così avviene per il mosto all’interno di un macchinario che tramite l’anidride carbonica che si espande garantisce una pressione interna che ripompa il tutto all’interno di vasche orizzontali al cui interno ci sono delle griglie e dove avviene la macerazione a freddo ad una temperatura di circa 10° C per un tempo che varia tra le 4 e le 10 ore in funzione delle annate e del grado di estrazione che si vuole raggiungere. Tali vasche sono chiamate Statibreiner. Al termine della macerazione si apre una valvola che permette di raggiungere dei serbatoi dove avviene la prima decantazione statica. Tale processo rappresenta la prima fase per le uve Chardonnay per la produzione del Cervaro e del Bramito. Al termine della macerazione a freddo e dopo l’avvenuto drenaggio statico, le bucce che contengono mosto con caratteristiche interessanti vengono inviate ad una pressa dove a seconda della pressione di esercizio si avranno diversi livelli di mosto diversi dal mosto fiore. Nel momento del blend si decide quante frazioni di mosti di pressatura andranno aggiunte al mosto fiore perché comunque essendo più ricchi devono essere ben dosati. Il secondo fiore deriva da frazioni sottoposte ad una pressione da 0,2 a 0,4 bar, il terzo fiore da 0,4 a 0,8 bar e da 0,8 a 1,8 bar infine si ottengono torchiati che non vengono utilizzati in azienda ma che vengono venduti ad altre cantine in quanto non aventi caratteristiche considerate idonee. A Castello della Sala esistono due diverse tipologie di Chardonnay. La differenziazione inizia dal vigneto, le vigne giovani vengono utilizzate per produrre il Bramito, tuttavia, le stesse nel tempo potrebbero andare bene per il Cervaro. Il motivo della scelta è legata a diversi fattori, infatti, le piante giovani hanno bisogno di sfogare la loro produzione perché se vengono costrette a creare pochi grappoli non si ancoreranno mai bene al terreno perché intente a tirare quel minimo di acqua e di sali necessario a creare pochi grappoli; di conseguenza le radici rimarrebbero molto superficiali. D'altronde se viene chiesto alla pianta di produrre maggiori frutti questa chiederà più sostanze e quindi l’apparato radicale tenderà ad approfondire nel terreno. Nel tempo ad una pianta ben ancorata è possibile chiedere meno e quindi produrre grappoli pronti per la produzione del Cervaro. Altra differenza è nella vendemmia che avviene manualmente per il Cervaro mentre è meccanizzata per il Bramito.

 

Purtroppo le cose belle finiscono rapidamente ma di questo viaggio oltre all’azienda ricorderò le parole precise e di estrema competenza che mi ha donato l’enologo il dott. Riccardo Cotarella, uomo dotato di una spiccata energia e vivacità intellettuale che mi hanno colpito profondamente.

Nei tre prossimi servizi analizzerò nello specifico tre etichette dell’azienda: il Cervaro della Sala, il Muffato della Sala e il Pinot Nero.