La mia passione

La mia passione

lunedì 27 ottobre 2014

Visitando Cantine: Il Verro



Foto: Maribruna Maiorino
Nel mese di Settembre dopo aver raggiunto il comune di Pontelatone in provincia di Caserta, sono proseguito in direzione di quello di Formicola e dopo aver attraversato il paese sono riuscito a raggiungere il mio obiettivo, l’azienda vitivinicola Il Verro, situata a Lautoni in località Acquavalle  un’area famosa per la forte presenza dei cinghiali. Infatti, il Verro, nasce dal nome che gli abitanti locali davano al maschio del cinghiale “u verru”; da qui, lo stemma aziendale che deriva dalla stilizzazione di una statuetta, presente in un museo della Versilia, raffigurante un cinghiale bardato a festa.


Ad attendermi, l’ideatore dell’azienda il Sig. Cesare Avenia e dalle sue parole segue il successivo racconto.


L’azienda nasce nel 2003 dall’idea di cinque amici con professionalità diverse ma accomunati dalla passione per la terra e il territorio. Questi, decidono di acquistare un vigneto, in forte declivio, costituito principalmente da Casavecchia e Coda di Pecora (il Pallagrello Bianco è stato introdotto nel 2005) invaso ormai da rovi ed erbacce. Il Verro nasce con lo scopo di riscattare un territorio, il casertano, oggi spesso chiamato in causa esclusivamente per episodi di camorra o di discariche abusive. Tuttavia, in realtà, ci sono tantissimi territori incontaminati purtroppo oggi abbandonati. In termini di scelte, l’azienda ha avuto sempre idee molto chiare infatti, tutti i vini sono monovitigno perché l’assemblaggio è da sempre considerato un passo successivo da compiere solo al termine della piena conoscenza del comportamento del singolo vitigno nel tempo. Ancora, da circa un anno, il Verro ha iniziato la certificazione e i processi di conversione al biologico.


Le vendite aziendali avvengono principalmente localmente nella provincia di Caserta e in parte nel resto della Campania ma troviamo anche una piccola nicchia estera in particolare negli Stati Uniti attraverso due canali di distribuzione uno presente a San Francisco e uno nel North Carolina.


L’enologo è Vincenzo Mercurio.


Foto: Maribruna Maiorino
L’azienda detiene quattro ettari vitati e dodici ettari di terreno in cui sono presenti diversi alberi da frutto come noci, ciliegi e ulivi. I vitigni presenti sono Casavecchia, Pallagrello Nero, Pallagrello Bianco e il Coda di Pecora un vitigno a bacca bianca ripreso dall’azienda e ad oggi ancora oggetto di sperimentazioni e quindi non ancora riconosciuto come uva da vino. I vitigni sono baciati da un’ottima insolazione con esposizione Sud Sud-Est e grazie anche alla vicinissima presenza di boschi da un’elevata escursione termica tra il giorno e la notte che favorisce la produzione e il fissaggio all’interno delle uve di precursori aromatici.


Foto: Maribruna Maiorino
La produzione aziendale si attesta in 20.000 bottiglie divise equamente tra vini rossi e bianchi. La cantina che  colpisce immediatamente per l’architettura è realizzata in tufo e contiene tutte le annate storiche.


Foto: Maribruna Maiorino
La gamma aziendale comprende cinque vini di cui due bianchi Sheep da Coda di Pecora e il Verginiano da Pallagrello Bianco che effettuano affinamento in acciaio e bottiglia e tre rossi il Pallagrello Nero e Lautonis e Montemaggiore da Casavecchia. Il Lautonis affina totalmente in acciaio e in bottiglia mentre nel Montemaggiore il Casavecchia affina 18 mesi in barrique anche se l’azienda ha iniziato un processo di passaggio al tonneau.

In degustazione, il Sig. Avenia ci ha permesso di degustare due vini bianchi Sheep e Verginiano ed un vino rosso il Montemaggiore.


Degustazione: Sheep Terre del Volturno IGT 2012

Il nome del vino deriva dall’inglese Sheep che significa pecora data l’impossibilità di utilizzare il nome del vitigno ancora non iscritto nelle uve da vino processo che dovrebbe avvenire entro qualche anno. Il recupero del vitigno è iniziato nel 2007 e nel 2011 è uscita la prima annata sul mercato.

Di veste paglierina, al naso presenta inizialmente note floreali e minerali in particolare di ferro e ruggine. In un secondo momento notiamo sentori fruttati quali mela cotogna ed erbe aromatiche in particolare la menta. In bocca è acido e sapido caratteristica che deriva dal terreno argilloso misto a roccia e quindi ricco di scheletro e minerali e si percepisce anche una leggera nota alcolica con una delicata percezione tannica non usuale nei vini bianchi. Un vino equilibrato di buona persistenza. In abbinamento lo sposerei con formaggi delicati a pasta morbida.


Degustazione: Verginiano Terre del Volturno IGT 2011

Il nome del vino deriva dai “Verginiani” ovvero i frati che hanno iniziato ad effettuare le prime vinificazioni di Pallagrello Bianco nella zona. Il chiostro, era situato nella piazza principale del comune di Formicola. I Verginiani erano un ordine ecclesiastico successivamente confluito in quello dei Benedettini. Attraverso il Verginiano l’azienda si è fatta conoscere negli Stati Uniti.

Paglierino di ottima lucentezza. Appena si avvicina il naso si scorgono sentori fruttati di melone e pera, vegetali e di mandorla. Al gusto è fresco, morbido con note dolci e sapido; tali percezioni sono racchiuse in un gioco equilibrato. Un vino strutturato che abbinerei a piatti di pesce anche elaborati.


Degustazione: Montemaggiore IGT 2009

Il vino prende il nome dal monte presente nelle vicinanze appunto il Montemaggiore. E’ stato il primo vino rosso aziendale nel 2007 ad essere immesso sul mercato. Ad oggi si stanno effettuando molte prove di invecchiamento per valutarne l’evoluzione nel tempo. Il vino effettua affinamento per diciotto mesi in barrique di rovere francese ed erano state effettuate in passato delle prove anche con il castagno ma rilasciava al vino troppe note amare.

Rubino impenetrabile. Al naso presenta dei sentori particolarissimi dove percepiamo inizialmente note fruttate di mora in confettura, floreali di viola e sottobosco; in successione iniziamo a percepire cannella, vaniglia, pepe, tabacco e note balsamiche. Al palato il vino ci offre un senso di pienezza con un ottima sapidità e un tannino uniforme ed elegante ma leggermente ancora acerbo. Nel finale risulta equilibrato e di ottima persistenza. Un vino molto interessante il cui pregio a mio parere è legato alla tipicità del casavecchia nel territorio. In abbinamento lo accosterei a piatti di carne elaborati e a formaggi molto stagionati a pasta dura.


In conclusione posso affermare di aver conosciuto una piccola realtà che nonostante sia ancora all’inizio del suo percorso ha già il talento per potersi affermare con i propri vini sui mercati nazionali ed internazionali.

sabato 6 settembre 2014

Visitando Cantine: Masseria Felicia



Agli inizi del mese di agosto dopo aver raggiunto il comune di Sessa Aurunca in provincia di Caserta, sono proseguito in direzione del mare per circa 2 Km per raggiungere il mio obiettivo, l’azienda vitivinicola Masseria Felicia, situata nell’area che gli antichi romani chiamavano Ager Falernus, territorio vocato da millenni alla viticoltura e dal cui terreno è nato il Falerno il vino più amato nell’impero romano.

Il racconto che seguirà deriva dalle parole ricche di entusiasmo della titolare Maria Felicia Brini che mi hanno trasmesso amore e passione per il lavoro, per il territorio e per il vino ma soprattutto il desiderio ardente di fare, sperimentare e migliorarsi rispettando sempre le caratteristiche uniche del terroir di origine.


La storia dell’azienda inizia nel 1995 quando i genitori dell’attuale proprietaria decidono di ristrutturare un casale di inizio novecento di cui i nonni erano i coloni e di reimpiantare una nuova vigna. Nasce così Masseria Felicia dalla passione di Felicia e del padre Alessandro per la terra e dai ricordi delle vendemmie con il nonno. Nel 1999 avviene la prima vendemmia con il risultato di un vino difficile da essere bevuto nell’immediatezza ma con una potenza, longevità ed una evoluzione difficili da riscontrare in altri vini. Nel 2002 viene immessa sul mercato la prima etichetta rappresentata dal Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo 2000.


L’enologo dell’azienda è Vincenzo Mercurio uno dei pochi enologi che evitano di imporsi sul vino lasciando al territorio e allo stile aziendale di emergere liberamente.

I cinque ettari di vigneto sono situati a circa 200 m di altitudine e presentano a sinistra il vulcano di Roccamonfina e di fronte e a destra il Monte Massico. Il mare si trova a 6 Km. Le vigne sono benedette da un microclima e da un terreno fantastici con il Massico che protegge le stesse dalle perturbazioni. I terreni, di natura vulcanica, derivano in gran parte dal vulcano di Roccamonfina ma anche dai Campi Flegrei e sono composti da tufo grigio, pomici e ceneri laviche che in concomitanza con il mare donano grande mineralità ai vini.


La vendemmia avviene rigorosamente a mano e di anno in anno l’azienda reinveste gran parte dei propri utili nell’ottica del miglioramento qualitativo. In particolare uno degli ultimi investimenti ecocompatibili è stata la realizzazione di un impianto fotovoltaico in grado di renderla autonoma dal punto di vista energetico.


Il vigneto è suddiviso in piccolissimi cru con caratteristiche estremamente diverse per posizione, ambiente e terreno. Da ogni cru deriva un vino con particolarità uniche che rispetta sempre il carattere della vigna. Questa particolare eccezione di Masseria Felicia, dal mio punto di vista molto simile ai vigneti di Borgogna, garantisce il forte legame del vino con la vigna di origine; pertanto e anche perché attualmente è in conversione biologica, l’azienda, nonostante le richieste siano superiori alla capacità produttiva, ha deciso di utilizzare esclusivamente uve di proprietà.


Attualmente circa il 70% della produzione viene venduta all’estero in particolare negli Stati Uniti grazie al notevole apprezzamento di Robert Parker verso il Falerno Etichetta Bronzo. Infatti, nel 2002 ha attribuito allo stesso 95 punti. Da quell’anno il punteggio di Wine Advocate non è mai sceso sotto i 92 punti.

La prima cantina/bottaia dell’azienda, situata a 9 m di profondità, era un cellaio risalente al 1930 realizzato in tufo grigio campano un materiale estremamente poroso che permette un ottimo drenaggio dell’acqua. Nella storica cantina, caratterizzata da caratteristiche naturali uniche per l’affinamento, l’azienda ha lavorato con un massimo di 12 barrique. Contiene ancora le annate storiche ad iniziare dal 1999 anno della prima vendemmia; infatti, essendo l’azienda estremamente giovane di anno in anno apre annate diverse per valutare le evoluzioni del vino. Le prime annate di bianco risalgono al 2007 e alcune bottiglie degustate dell’annata 2008 sono risultate perfette senza alcun segno di ossidazione data la notevole acidità e alcol che le caratterizza.


La gamma aziendale comprende sei vini di cui due bianchi Sinopea e Anthologia, un rosato Rosalice prodotto dalla vinificazione in bianco e breve contatto delle bucce con il mosto del vitigno Aglianico in purezza e tre rossi Falerno del Massico Rosso, Ariapetrina e Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo. I due vini bianchi vengono prodotti dal vitigno Falanghina in due varietà clonali quella dei Campi Flegrei e quella del Beneventano. Per quanto concerne i tre vini rossi sono prodotti con un uvaggio del 80% di Aglianico e 20% di Piedirosso.  Il Falerno del Massico Rosso che deriva dalle vigne più giovani viene vinificato ed affinato esclusivamente in acciaio mentre gli altri due rossi Ariapetrina e Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo fanno affinamento in legno. Tutti e tre i vini rossi fanno affinamento in bottiglia.  La vigna dell’Ariapetrina è la più fresca. Normalmente, una parte delle uve di Ariapetrina e del Falerno Etichetta Bronzo effettuano la vinificazione in tronco conici di castagno mentre la restante parte viene vinificata in acciaio. Le motivazioni derivano in parte da scelte naturali essendo le uve del Falerno Etichetta Bronzo le prime a raggiungere la maturazione e quelle dell’Ariapetrina, l’areale più fresco, le ultime circa 15 giorni dopo le prime. In questo modo inizia la vinificazione delle prime uve quelle del Falerno Etichetta Bronzo e quando sono pronte per passare in acciaio, le uve dell’Ariapetrina sono libere di vinificare nel legno, riuscendo ad avere un ciclo continuo. Per quanto concerne i legni, l’azienda utilizza barrique francesi di rovere di diverse tonnellerie e diverse foreste di provenienza. In particolare, la Tonnellerie Remond è una piccola azienda a carattere familiare che lavora le barrique totalmente a mano doga per doga (nella visita è stato possibile osservare e percepire i diversi odori del legno).
Ogni anno il 30% del parco legno barrique viene rinnovato, tuttavia, non esistono regole. Infatti, alcune vengono sostituite dopo il primo passaggio mentre altre che hanno lavorato particolarmente bene con il vino possono essere utilizzate fino al quinto passaggio. Anche i vini percorrono strade diverse e non esistono regole vino-barrique. Alla fine di ogni passaggio ogni vino, anche a costo di saltare un’annata, viene degustato al fine del rispetto delle caratteristiche della vigna. Di conseguenza nonostante i tre vini rossi siano realizzati con lo stesso blend, i vini sono completamente diversi e riconoscibili.


Da alcuni anni, parte del Piedirosso della vigna sessantenne, viene vinificato e affinato a parte per valutarne l’evoluzione e sicuramente nei prossimi anni avremo da Felicia diverse sorprese.


In degustazione, Felicia ci ha permesso di provare tutti e sei vini e i risultati sono stati sorprendenti con vini intensi, equilibrati e con caratteristiche singolari spiccate. Tuttavia, vorrei concentrarmi in degustazione su Anthologia 2013, Ariapetrina 2008 e Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo 2009 che mi hanno particolarmente colpito.


Degustazione: Falerno del Massico Bianco Anthologia 2013

Il vino viene prodotto attraverso la vinificazione in bianco del vitigno Falanghina nelle due varietà clonali.

Paglierino di grande lucentezza. Al naso è intenso con sentori floreali di margherite, frutta tropicale, banana, minerali e paglia. In bocca è sapido ma perfettamente equilibrato e con un ottima spalla acida. Un vino di estrema eleganza.


Degustazione: Falerno del Massico Rosso Ariapetrina 2008

Prodotto mediante vinificazione in acciaio e in tronco conici aperti di castagno dei vitigni Aglianico e Piedirosso rispettivamente nelle percentuali dell’80 e del 20%. Il vino prende il nome dalla dicitura catastale della zona dove risiede la vigna che a sua volta deriva da un altarino di San Pietro presente sul massico. In passato la zona era chiamata Area Petrina ovvero Area di San Pietro. Ariapetrina è una piccola vigna di otto anni allevata a guyot e guyot rovesciato di 1,5 ha.

Di veste rubino con riflessi granato si apre immediatamente con una potenza straordinaria. Al naso si percepisce immediatamente la frutta matura ciliegia e amarena e in successione si aprono sentori di sottobosco, ematici, di liquerizia e cioccolato. In bocca è alcolico ma perfettamente equilibrato grazie ad una ricca freschezza e sapidità. Il tannino è molto presente ed ancora leggermente ruvido e asciugante, tuttavia è nobile e ben distribuito. Un vino di territorio che nei prossimi anni, con l’evoluzione della componente tannica, avrà sicuramente prospettive inimmaginabili.


Degustazione: Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo 2009

Prodotto mediante vinificazione in acciaio e in tronco conici aperti di castagno dei vitigni Aglianico e Piedirosso rispettivamente nelle percentuali dell’80 e del 20%. Affina prima in barrique e tonneaux per almeno 12/14 mesi e poi per almeno 12 mesi in bottiglia.

Rubino intenso e profondo. Dal punto di vista olfattivo è risultato complesso ed elegante con sentori di viola, susine, rosmarino, tabacco, cioccolato e cuoio. In bocca è caldo, fruttato con una spiccata acidità ed un tannino morbido e perfettamente maturo e distribuito. Una lunghissima persistenza caratterizza un finale di estrema eleganza.


In conclusione posso sicuramente affermare che Masseria Felicia rappresenta sicuramente una delle aziende vitivinicole più interessanti e affascinanti che abbia mai visitato.

domenica 15 giugno 2014

Degustazioni: Naturalis Historia IGT 1997 Mastroberardino


La scorsa settimana, dopo un lungo affinamento nella mia cantina personale, ho deciso di aprire una bottiglia che mi venne regalata molti anni addietro da mio fratello: Naturalis Historia 1997 di Mastroberardino.

Non inizierò questo racconto come faccio di solito ovvero con una breve descrizione dell’azienda produttrice in quanto in questo caso mi sembrerebbe troppo riduttivo considerando la sua notevole importanza e magari vi racconterò della stessa in maniera approfondita nei prossimi mesi.

Pertanto, mi concentrerò esclusivamente sul vino e sulla sua degustazione che mi ha lasciato con il fiato sospeso.

Naturalis Historia nasce, dal connubio di due vitigni Aglianico e Piedirosso allevati sulle colline dell’Irpinia in un percorso, iniziato nel dopoguerra, alla riscoperta di valori e sapori della regione Campania una terra martoriata e nutrita dal Vesuvio. I due vitigni compongono il vino nella misura dell’85% per le uve Aglianico e per il 15% dalle uve Piedirosso che vengono allevate a guyot, vendemmiate a fine Ottobre e coltivate su un terreno argilloso-calcareo. Il vino viene affinato per diciotto mesi in barriques e per dodici mesi in bottiglia.
 
Degustazione:

Granato intenso con unghia aranciata mostra immediatamente una splendida consistenza. All’olfatto il vino risulta intenso e complesso con in apertura una nota intensa di ciliegia sotto spirito e marmellata di prugna. In successione si aprono aromi di menta, cioccolato, pepe nero, tabacco e note ematiche. In bocca risulta caldo, sapido, morbido e avvolgente con un tannino fine ed elegante distribuito ottimamente e uniformemente. Intensa persistenza con retrogusto caratterizzato da note nuovamente di pepe nero e cioccolato. In abbinamento lo accosterei con carni rosse elaborate e con formaggi stagionati.

domenica 8 giugno 2014

Degustazioni: Saint Esprit 2011 Côtes du Rhône Delas


Nel mese di maggio ho avuto il piacere di degustare Saint Esprit 2011 Côtes du Rhône di Delas. La maison Delas Frères nasce nell’ottocento e nel 1977 viene acquisita da Champagne Deutz. L’azienda coltiva i propri vigneti sulle ripide pendici di granito della zona settentrionale del Rodano in alcune delle denominazioni più prestigiose della regione e recentemente si è rinnovata nella direzione del rispetto della territorialità e delle caratteristiche di ciascuna zona in cui sono presenti i vigneti. Ha una produzione media di 450.000 bottiglie l'anno. La zona di coltivazione è caratterizzata dal maestrale che è un vento violento che può portare instabilità e temperature fredde. In Provenza e un po’ in tutta la Francia del Sud viene chiamato mistràl. Il mistral, provenendo dall’Atlantico, entra nella Valle del Rodano scavalcando il Massiccio Centrale, acquista velocità e caratterizza con tempeste di vento anche violente la zona. Il territorio è caratterizzato da una stagionalità delle piogge molto marcata e da temperature calde con grande insolazione.
I vigneti del Saint Esprit si trovano nella parte nord del dipartimento dell’Ardèche, situato più o meno al centro della parte meridionale della Valle del Rodano e sono situati su ripide colline di granito con un’esposizione sud; tali condizioni offrono la migliore crescita per le vigne.
 
Metodo di Produzione

Il Saint Esprit viene prodotto con una miscela costituita per il 90% da uve Syrah e per il 10% da Grenache. Entrambi i vitigni vengono diraspati. La fermentazione, la cui temperatura viene controllata e mantenuta tra 82° C e 86° C, e la macerazione, avvengono in tini chiusi per circa quindici giorni dove rimontaggi giornalieri assicurano una perfetta estrazione. Dopo svinatura, pressatura e successivo travaso, si passa alla fermentazione malolattica che avviene in acciaio. Al termine, il 30% del vino viene affinato in botti di rovere al fine di fornire alla successiva miscela un tocco di legno.  La cuvée, dopo la miscelazione e successivo filtraggio, viene imbottigliata.

Degustazione:

Il vino si presenta con un vestito granato e un’ottima consistenza. Al naso si apre con una leggera dissociazione alcolica che dopo alcuni attimi si perde ed iniziano a percepirsi sentori di  frutti di bosco e nel sottofondo aromi di viola, pepe, peperone, cannella e liquerizia. In bocca è morbido, rotondo e fine con tannini delicati e ben distribuiti. Un vino estremamente interessante caratterizzato nel finale da un’ampia persistenza. In abbinamento lo assocerei ad una cucina in stile provenzale caratterizzata da imbottiture e grigliate miste.

martedì 13 maggio 2014

Visitando Cantine: Maison Pommery


Oggi, vi voglio raccontare della Maison Pommery attualmente di proprietà del Gruppo Vranken con il nome di Vranken Pommery Monopole che rappresenta la più grande azienda vitivinicola in Europa con marchi presenti e distribuiti in 147 paesi nel mondo. Volevo raccontarvi di Pommery esclusivamente con delle fotografie da me realizzate perché speravo che anche voi provaste le mie emozioni ma poi avrei perso il piacere di raccontare le mie sensazioni e le mie esperienze.

Il mio viaggio verso la Maison inizia in auto da Parigi. Dopo circa due ore di cammino arrivo a Reims dove avrò il piacere di soggiornavi per diverso tempo. Reims è Champagne, qui oltre a Pommery troviamo Mumm, Taittinger, Veuve Cliquot, etc. Niente, tuttavia, a mio parere, è paragonabile a Pommery ed è qui che fermerò la mia base estiva. Reims è una città fantastica che vive di Champagne, vive delle Maison e della parola Champagne legata alle persone che vi risiedono.

Arrivato nei pressi della Maison la visione è sbalorditiva. Una struttura imponente simile ad un grande castello con un giardino curato ricco di opere d’arte, opere che ritroverò anche nella cantina sotterranea. Le cantine del Domaine, situate diversi metri sotto terra, sono state ricavate trasformando 120 cave di gesso di origine gallo-romana e sono collegate da 18 km di gallerie destinate ad ospitare venticinque milioni di bottiglie in affinamento. Per realizzare questo ambizioso progetto sono stati necessari dieci anni di lavori, tra il 1868 e il 1878. 
Pommery è sinonimo di Champagne ma anche di arte. Infatti, Madame Pommery era attivamente coinvolta nella riorganizzazione della Reims Philharmonic Society, sosteneva Les Amis des Arts (amici dell’arte) comprando i loro migliori dipinti e nel 1882 commissiono a Navlet la serie di incredibili e monumentali bassorilievi che ornano le sue cantine. La passione che spingeva questa continua ricerca la porto a mettere assieme una notevole collezione di maioliche provenienti dai centri più famosi: Rouen, Moustier, Strasburgo, Nevers, Luneville e perfino centri come Sinceny, Sevres e Delft. Madame Pommery lascio questa collezione presso il Museo di Reims. Oggi, Pommery continua a commissionare opere ad artisti moderni di valore ma posizionandosi in un contesto tutto suo. Con la creazione di Experiences Pommery nel 2003, Pommery diviene un produttore di arte, fornendo alla scena internazionale una propria visione underground. Inoltre, è di Madame Pommery l’idea di mettere a “servizio” dell’azienda l’architettura neo-gotica elisabettiana, uno stile architettonico ritenuto a quel tempo troppo prestigioso per cantine, sale di imbottigliamento e magazzini. Realizzato nel 1878 dopo dieci anni di lavori, ad oltre 50 anni dalla fondazione della Maison, diventa centro produttivo e di accoglienza del marchio Pommery. Si estende oggi su cinquanta ettari tra edifici in stile elisabettiano, di cui venticinque ettari coltivati a vigneti denominati Clos de Pompadour e Moulin de la Hausse.







Le Vigne

Trecento ettari suddivisi tra sette villaggi classificati al 100% compongono, attualmente, le vigne della Maison Pommery. La gran parte dei vigneti sono piantati sui fianchi delle colline con una perfetta insolazione e costante areazione e tutti sono caratterizzati da terreno calcareo con un formidabile strato di gesso nel sottosuolo caratteristiche che garantiscono un ottimo serbatoio di calore e da un clima settentrionale, che alterna mitezza atlantica e rigore continentale, caratteristiche che creano tutta la specificità dei vigneti della Maison.

Sui versanti della Montagne de Reims troviamo Mailly, Verzenay, Bouzy e Ay per il Pinot Noir e Sillery per lo Chardonnay ed il Pinot Noir mentre sulla Cote des Blancs abbiamo Cramant e Avize per lo Chardonnay. Il vigneto riservato a Cuvée Louise nasce esclusivamente dai tre più importanti Grand Cru della regione della Champagne quali Avize e Cramant per gli Chardonnay e Aÿ per il Pinot Noir. Le parcelle del vigneto Cuvée Louise sono selezionate sia per la loro posizione nel cuore di questi terreni sia per i risultati ottenuti nel corso degli anni e ancora per la ricchezza aromatica delle loro uve. Il vigneto è oggetto di attente cure per tutto l’anno attraverso potatura autunnale equilibrata affinché la vite germogli correttamente, legatura di primavera, spollatura, disposizione a spalliera e spampinatura d’estate per favorire il “polmone” della vigna. Giunte a maturità, queste uve presentano un tenore di zucchero sensibilmente più alto rispetto agli altri appezzamenti degli stessi Cru.

L’invenzione del Brut

Monsieur Pommery, di salute cagionevole, dopo aver fatto fortuna nel mercato della lana, decide nel 1856, visto che il figlio Louis è ormai grande, di ritirarsi dagli affari per vivere una vita più tranquilla. Tuttavia, dopo diciassette anni dopo la prima gravidanza, Madame Pommery, aspetta un bambino. Questa gravidanza miracolosa, all’età di 38 anni, cambierà per sempre il corso della loro vita; infatti, Monsieur Pommery, per garantire il futuro della figlia, apre un’attività dedita alla commercializzazione dei vini di Champagne e quando, il 18 febbraio 1858, Monsieur Pommery si spegne, Madame Pommery guarda Louise che non ha neppure un anno e raccoglie le proprie forze per dare inizio ad una delle più belle storie della Champagne.

Così, nel 1874 Madame Pommery che ha preso saldamente in mano le redini dell’azienda percepisce che i gusti stanno cambiando e chiede a Victor Lambert, Chef de Cave della Maison che ha sostituito Olivier Damas, di ideare uno champagne secco, leggero ed elegante. Questa audace volontà di Madame Pommery, in un’epoca in cui domina il gusto dolce, verrà coronata nello stesso anno con la creazione del primo “brut” millesimato della storia dello champagne: il Pommery Nature 1874. L’idea diventa in realtà un successo senza precedenti e ancora oggi è lo stile di riferimento per eccellenza e si ritrova negli Champagne Cuvée Louise, Pommery Millésimé Grand Cru, Brut Royal e Pommery Noir.

Oggi, lo Chef de Cave che firma gli champagnes della Maison è Thierry Gasco e a lui compete la definizione delle “cuvee”, sposando tra loro i diversi Cru. Ogni anno, cerca con cura, il profumo e il gusto che distinguono lo Champagne Pommery. Gasco gestisce anche le “Relations Vignoble” occupandosi direttamente delle valutazioni agronomiche e della qualità delle uve conferite. Questo principio selettivo e l’ingrediente che assicura la qualità della materia prima che poi si evince dalla purezza e finezza dei suoi vini.

mercoledì 30 aprile 2014

Degustazioni: Tredici DOC 2010 Vigne del Vulture


La settimana scorsa mi è stato regalato Tredici 2010 una bottiglia di vino dell’azienda agricola Vigna del Vulture di Melfi (PZ) nata dalla passione per il vino di sei ragazzi Lucani decisi a produrre bottiglie di qualità attraverso accurati processi in vigna.

L’azienda, sfruttando la zona del Vulture eccellente dal punto di vista della natura dei terreni vulcanici e ricchi di minerali, ha puntato la produzione su vino Aglianico DOC attraverso il supporto e la  guida dell’enologo toscano Umberto Trombelli. Oggi, la produzione si attesta ad un milione e mezzo di bottiglie.

Il Tredici 2010 è prodotto interamente con uve Aglianico del Vulture aventi una resa di 7 t/ha. Il vino dopo la fermentazione malolattica affina tredici mesi in barrique e sei mesi in bottiglia.

La degustazione mi ha lasciato molte perplessità. Il vino si veste di colore granato di importante consistenza. Al naso l’impatto alcolico è forte e deciso lasciando poco spazio all’analisi. Dopo diversi istanti iniziano a percepirsi sentori fruttati di ciliegia accompagnati da cuoio, pellame e tabacco ciò nonostante l’impatto alcolico e ancora prorompente tendendo ad offuscarne la percezione limpida dei sentori incontrati. Anche al gusto l’alcol prende il sopravvento così come una forte componente acida tuttavia, notiamo un tannino ottimamente integrato e distribuito. In abbinamento lo vedrei bene con uno stinco di maiale alla brace.