La produzione
del vino è legata al processo di macerazione a freddo delle bucce. Tale
processo produttivo che si svolge con temperature inferiori ai 10°C è iniziato
nel 1981. In quegli anni tale metodo di produzione era considerato un’avversità
perché i vini bianchi dovevano essere di colore bianco carta e i vini di
riferimento erano il Galestro in termini di consumi e il Gavi in termini di
qualità, vini orientati alla freschezza e alla fragranza ma con poca spina
dorsale, vini puliti senza intensità. La ricerca dell’intensità, in quel periodo,
voleva dire vini che dopo un anno erano maderizzati con colori prima oro e poi
tendenti al marrone che ne decretavano la morte gustativa e, quindi, dato che
la macerazione era una pratica che aumentava il livello di sostanze ossidabili
e di conseguenza rendevano il vino più facilmente invecchiabile, era
considerata avversa. La macerazione garantisce maggiori intensità perché le
sostanze presenti nel vino sono concentrate principalmente nella buccia. In
quel momento il Cervaro rappresentò l’unico vino italiano prodotto in quel modo
mentre oggi la pratica è molto diffusa. L’enologo Cotarella ed il suo staff
inventarono la tramoggia e l’utilizzo, per la prima volta, dell’anidride
carbonica per il raffreddamento delle uve, il tutto alla ricerca di qualcosa
che cambiasse le regole del gioco. Il Cervaro ha fatto questo andando a
cambiare l’immagine dei vini bianchi dell’Orvietano che erano buoni ma nella
mediocrità e andando ad affermarsi in Italia e all’estero per la sua costanza
in termini di qualità annuale e per il suo percorso gustativo che raramente
tradisce. Un vino che ha un suo filo conduttore che in parte gli deriva dalla
zona e in parte dal modello e dal processo di vinificazione. La nascita del
vino avviene circa 30 anni fa quando il dott. Cotarella insieme al Marchese
decisero di effettuare un viaggio in Francia e in Borgogna dove assaggiarono un
vino bianco affinato 15 anni in bottiglia. L’approccio fu molto particolare in
quanto in quegli anni andavano di moda i vini bianchi trasparenti, snervati e
acidi. Entrambi si innamorarono dello Chardonnay e decisero di importarlo e
piantarlo nella zona del Castello della Sala. Nel 1985 abbiamo la prima annata che
risultò estremamente insoddisfacente tanto da portare il Marchese a decidere di
smetterne la produzione. Il risultato fallimentare fu dovuto alla presenza
esclusiva della fermentazione alcolica in quanto in tale periodo la
fermentazione malolattica, in Italia, era pressoché impensabile. Tuttavia, il
dott. Cotarella decise di continuare le sperimentazioni e fu fortunato quando
nel 1986 il primo cantiniere chiuse tutte le porte della cantina storica del
castello dove stava fermentando lo Chardonnay. Questo “incidente” portò
all’aumento della temperatura in modo naturale facendo partire la fermentazione
malolattica. Inizialmente, si pensò ad un disastro ma poi assaggiando il vino vennero
individuate delle similitudini con quello di Borgogna. Da quel momento continuarono
le sperimentazioni, la malolattica venne portata a compimento e si pensò
all’aggiunta del vitigno Grechetto che ha un ruolo fondamentale innanzitutto
perché tipico della zona e quindi ha permesso di portare il nome di Orvieto in
tutto il mondo e poi per la possibilità di metterlo in blend con lo Chardonnay.
Il Cervaro, infatti, è un blend di Chardonnay e Grechetto. Il vino affina in
barrique nuove per massimo 6 mesi e la fermentazione malolattica viene svolta a
completamento ovvero fino a quando il valore dell’acido malico è zero. I
lieviti utilizzati sono Saccaromyces Cerevisiae indigeni, selezionati e
originari delle zone.
Degustazione: Cervaro della Sala Castello della Sala
Antinori IGT 2009
Prima di
iniziare la degustazione dobbiamo preannunciare che il vino non deve essere
paragonato ad uno Chardonnay della Borgogna in quanto il suo comportamento è
tipicamente mediterraneo. Da il meglio di sé nelle annate più fresche. Il
Grechetto nel blend migliora l’acidità ma in maggiori quantità tenderebbe ad
involgarirlo. Il profumo è intenso di grande finezza si avvertono i fiori
gialli che emergono sulla componente grassa e fruttata con una bellissima
mineralità tipica del vino e del territorio il tutto abbracciato da un fondo
fumè e di pietra focaia. In bocca si avvertono note di burro e nocciola, l’acidità è importante ma si intravede una
bella rotondità il tutto in un bellissimo equilibrio; tuttavia, si vede che ha
bisogno di tempo necessario al fine di amalgamare l’acidità con la sapidità. Un
vino giovane che per essere bevuto bene avrebbe bisogno di circa 30 anni.
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